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Smart Working: Serve più coraggio per sostenere le trasformazioni del lavoro.

Si ritorna in ufficio. Il cambiamento è difficile da gestire ed attorno ad un tavolo si lavora meglio. E’ questa la conclusione alla quale stanno giungendo diverse aziende, avviando in tal modo una tendenza ormai consolidata e confermata dai dati.

Un ritorno al passato rispetto ai numerosi tentativi fatti nella fase post Covid per rendere stabile un modello organizzativo che durante l’emergenza sanitaria aveva interessato quasi 7 milioni di lavoratori.

L’Italia è da sempre un Paese difficile e contraddittorio e sui grandi temi del lavoro finisce sempre per dividersi, con la straordinaria capacità di fallire i grandi appuntamenti, di resistere a qualsiasi innovazione sociale e costruirsi alibi rispetto alle proprie mancanze.

E’ chiaro che tale riflessione non attenga solo al tema dello Smart Working, ma più in generale si riferisca alle complessità economiche, storiche e sociali del momento, soprattutto rispetto ai temi del lavoro, sui quali si dibatte tanto senza ancora trovare la giusta direzione.

Alto tasso di disoccupazione soprattutto tra i giovani, preoccupante mismatch tra domanda e offerta di lavoro, carenza di manodopera qualificata, ‘grandi dimissioni’, corsa al reddito di cittadinanza, assenza di uno strutturato sistema di politiche attive e salari bassi che vanno di pari passo con la scarsa produttività del nostro sistema imprenditoriale.

Tutti segnali preoccupanti che invocano una riforma strutturale del nostro mercato del lavoro, che è chiamato ad abbandonare le dinamiche tradizionali per aprirsi a nuovi schemi nei quali il lavoro è reso più libero, meno imbrigliato dalla complessa normativa giuslavoristica e, soprattutto, sostenuto da un profondo cambiamento culturale.

Può quindi affermarsi che il presunto fallimento dello Smart Working risieda proprio in tali aspetti, soprattutto se lo guardiamo nella sua effettiva estrinsecazione: passare dalla quantità alla qualità del lavoro, divenendo vero lavoro per obiettivi.

La principale difficoltà riscontrata dai manager e dagli impreditori affonda le sue radici nel mancato adeguamento del nuovo modo di lavorare all’interno di schemi organizzativi e giuridici tradizionali, non riuscendo a gestire l’esuberanza di milioni di lavoratori che, avendo acquisito nuove consapevolezze, richiedono più flessibilità, percorsi di carriera adeguati, migliori condizioni di lavoro e salari più alti.

Bisognerebbe prendere atto che molto è cambiato nelle coscienze dei lavoratori e che il nostro mercato del lavoro va innovato, abbandonando ogni forma di resistenza. Viviamo infatti in un paese sempre più vecchio, nel quale si pensa ancora che i meno giovani possano essere attori di quel cambiamento che riescono con difficoltà ad interpretare.

In tale contesto, sostenere prima di tutto un cambio generazionale a vari livelli, soprattutto nel sistema di relazioni industriali, aiuterebbe a vedere le cose da prospettive diverse, fino a giungere alla consapevolezza che prendere atto del diverso potere di acquisto dei salari nelle diverse aree del paese non necessariamente comporta un ritorno alle gabbie salariali; che la flessibilità non è sinonimo di precarietà; che i salari non si alzano introducendo un salario minimo legale; che gli investimenti vanno fatti su competenze e politiche attive e non sugli ammortizzatori sociali e che il fenomeno delle grandi dimissioni non per forza si identifica con la fuga dal lavoro povero ma con la ricerca costante di nuove esperienze e di crescita professionale.

Questo differente approccio potrebbe portare anche alla consapevolezza che lo Smart Working non implichi soltanto una maggiore flessibilità per conciliare tempi di vita e lavoro all’interno di un’inalterata cornice organizzativa ma presupponga un radicale rovesciamento degli equilibri tra azienda e lavoratore, una rivisitazione totale del concetto di subordinazione ed una progressiva revisione delle dinamiche del mercato del lavoro, costruendo attorno alle emergenti esigenze dei lavoratori nuove regole e nuove tutele.

Se vogliamo dei modelli organizzativi Smart dobbiamo impegnarci seriamente ad innovare il sistema, mostrando il coraggio di affrontare le sfide richieste dai nostri tempi.

di Salvatore Vigorini

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