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Super bidella super pendolare: un supereroe di cui vorremmo poter fare a meno

Due Giuslavoristi prendono spunto dalla vicenda nota alle cronache della bidella pendolare giornaliera fra Napoli e Milano per una riflessione più ampia.

 

In queste settimane si è molto discusso della vicenda della “super bidella super pendolare” da Napoli a Milano per un posto di lavoro pubblico – ma questo poco importa – il cui stipendio mensile renderebbe più conveniente viaggiare quotidianamente da Napoli piuttosto che sostenere i costi di un’abitazione a Milano. Una sorta di personaggio da film di Checco Zalone, campione d’incassi al botteghino, però al contrario.

Dopo il generale stupore rispetto a questo primato di attaccamento al lavoro in un mondo del lavoro che viene descritto come profondamente infiltrato di bamboccioni e nulla facenti nutriti dal reddito di cittadinanza, sono cominciati i dubbi sulla fondatezza e sulla veridicità di quanto affermato dalla “super bidella super pendolare”. Quanto costa il treno? Quanto incidono le fidelity card degli operatori? Quanti giorni di lavoro effettivo? Quali sarebbero gli orari di ingresso e di uscita? Ecc.

In questo quadro evidentemente si è passati in poco tempo da un generale stupore misto ad ammirazione per l’attaccamento al lavoro ad un senso di generale diffidenza e sospetto. Nel corso dei giorni molte voci si sono occupate di varie sfaccettature della vicenda per verificarne la sostenibilità e, in particolare, se e quanto sia realistica la maggiore convenienza del viaggiare rispetto al caro vita milanese o del suo hinterland, magari con una pendolarità meno da “super” e più ordinaria. Si è anche ricostruita in modo molto lucido la questione del se una prestazione lavorativa resa con queste modalità sia o meno aderente al dettato di una Costituzione fondata sul lavoro. Sempre dal punto di vista del diritto se, ed in che misura, il datore di lavoro possa accettare quella prestazione ai fini della salute e sicurezza, sapendo che questa veniva resa dopo un viaggio così lungo e quotidianamente reiterato.

In un’analisi più distaccata dal sensazionalismo della notizia occorrerebbe, però, prescindere dalla veridicità o meno del caso di specie, a maggior ragione se si considerano le molte situazioni in cui il mantenere il posto di lavoro ha un costo, non solo economico, elevatissimo a prescindere dal percorrere o meno 1500 km al giorno, e soffermarsi solo sul rischio di una sua possibile verosimiglianza e, conseguentemente, riflettere sul modello di Paese e di mercato del lavoro vogliamo che si sviluppi in Italia. In altre parole, la domanda da farsi è: se questa storia è anche solo verosimile significa che il sistema nel suo complesso è carente laddove non è pronto per sostenere un giovane, che non sia dotato di altri mezzi, e che pur di lavorare è costretto a spostarsi dalla propria città senza che però questo comporti situazioni al limite.

Preso atto dei limiti esistenti, bisognerebbe individuare su cosa investire per rendere il diritto al lavoro effettivo e non una mera affermazione di principio e fine a se stessa. Quindi bisognerebbe scegliere una volta per tutte su cosa investire e nei confronti di chi investire per sostenere un’occupazione di qualità almeno adeguata. Il tema non è – come spesso accade in questo paese – creare un bipolarismo su reddito di cittadinanza si o reddito di cittadinanza no, oppure fra fannulloni e pseudo occupati ad ogni costo. È del tutto evidente, come quasi sempre accade, che i due estremi nulla o quasi nulla possano rappresentare del reale atteggiarsi di un fenomeno. Il punto vero è, invece, quello dell’efficacia dei servizi di supporto al mercato del lavoro, i quali non possono essere standardizzati, ma devono in qualche misura essere customizzati sulle vicende personali dei singoli e del contesto in cui operano.

 

Per realizzare un mercato del lavoro dinamico e moderno bisogna, ad esempio, far sì che funzionino i centri per l’impiego, in sinergia con le agenzie per il lavoro, per creare accesso al mercato. Sotto questo profilo occorre superare la dicotomia conflittuale fra pubblico e privato a favore di un sistema che premi l’efficienza, anche se questo può voler dire “convenzionare” il privato. Nessuno scandalo e nessuna abdicazione delle funzioni pubbliche, ma una presa d’atto come spesso è accaduto in altri settori come la sanità.

Se per un verso occorre sostenere chi il lavoro non ha o lo ha perso e quindi deve ritrovarlo, si dovrà decidere di investire in modo strutturale per creare dei meccanismi di sostegno (gestione strutturata dei fringe benefit, convenzioni, prezzi calmierati, esenzioni parziali nei trasporti, soluzioni abitative agevolate per i fuori sede ecc.) per chi il lavoro lo ha ma non è quello auspicato dal dettato costituzionale. Il tutto senza tralasciare un’approfondita riflessione sul tema del differente potere d’acquisto dei salari e quindi del concetto di retribuzione “reale”. Sul punto non occorre scomodare ricerche economiche approfondite per verificare che fra il nord ed il sud del Paese (ma anche fra la città e le province) tante – forse troppe – sono le differenze dell’impatto della retribuzione sul reale tenore di vita.

In tale prospettiva, non vi sarebbe alcuna necessità di creare veri o finti o anche solo verosimili supereroi. A questi fini, è sufficiente comprare un fumetto o andare al Cinema.

Articolo a cura di Francesco Rotondi e Pietro Speziale

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